L'UOMO SENZA NOME
Sabato 30 aprile ore 21.00
Teatro delle Rane
L’UOMO SENZA NOME
Tratto da “ Orienti” di Duccio Camerini
con
Antonio Dell’Anna, Ilaria Costa, Piergiorgio Martena
Marilù Valentino , Alessandra Perrone, Antonio Ramos
Regia Antonio Dell’Anna
A completare un cartellone sino ad ora già così ricco, si apre , con il prossimo appuntamento in scena al teatro di Novoli, la breve rassegna “Teatro per diletto”: uno spazio dedicato a tutte quelle compagnie che, pur non praticando il mestiere dell’attore come scelta professionale, si accostano tuttavia a quest’arte con passione ed impegno impagabili, dedicando il proprio tempo libero con cuore generoso e attento.
Originale e poco frequentato il testo che la compagnia TEATRO DELLE RANE ha scelto di portare in scena SABATO 30 APRILE, alle 21 nell’ambito della Stagione di teatro, musica e danza, promossa dall'Amministrazione comunale, dal Teatro Pubblico Pugliese, dalla Fondazione Focara e dalla Residenza TEATRI ABITATI di Factory e Principio Attivo.
Lo spettacolo L’UOMO SENZA NOME, prende infatti spunto da “l’Alba”, terza parte della trilogia teatrale “Orienti” di Duccio Camerini, e propone una riflessione sui destini dell'individuo intrecciati al farsi della storia, sulle diversità razziali, sulle migrazioni.
E’una storia sulla scoperta di sé, sulla ricerca della propria identità.
E’ una storia di non appartenenza.
È una storia che si svolge in Italia. Si svolge in America. È una storia che forse parla del futuro.
Roma nel 1940 è una città tra il baratro e il mito passato.
Da un anno siamo in guerra mondiale, e nella capitale accanto a straccioni di etnia non accertabile passeggiano gruppi di soldati vanagloriosi.
Nella grande storia si nascondono le storie personali di sei personaggi, che si raccontano e contemporaneamente vivono ciò che narrano, in un avvicendarsi continuo tra presente e ricordo.
Ciascuno di essi non è se stesso, è qualcun altro, non inventato, ma esistente, a sua volta altro da sé. “Ci sono uomini che vivono al posto di altri uomini”, rivela l’Uomo senza nome.
Esiste un’idea che difficilmente non ha attraversato la mente di molti nel corso della propria esistenza: ma che ci faccio qui? Chi sono veramente?
Qui niente è come sembra. Camillo è Akmel e insieme sua eccellenza il Conte Filonardi, Jolanda è Isolina, Isolina è Jolanda, Galerio non vuole essere nessuno, Madame Chinoise che è tutti. I nomi condizionano, si spostano da un’anima all’altra e le mutano congiungendosi ad esse. I corpi, a loro volta, sorgono dall’anonimato fisico e si alzano ad intercettare altri nomi. I nomi ci piovono addosso, ci segnano, ma semplicemente non siamo liberi di sceglierli. O meglio, non siamo liberi di sceglierci.
Siamo sempre certi che gli altri siano più felici, magari perché più ricchi o più belli. Eppure Jorge Amado ci direbbe che la felicità non ha storia, con una vita felice non si può scrivere un romanzo.
Mentre ancora in questi giorni non si attenuano gli sbarchi dei migranti sulle nostre coste, l’indifferenza e l’assuefazione a queste tragedie ci rende la memoria corta.
Abbiamo scordato che in un passato non tanto lontano gli albanesi, i somali, i tunisini, i marocchini, eravamo noi, noi i clandestini che sbarcarono in America, in Argentina, in Brasile dalla metà dell’’800 in poi. Una volta raggiunta la terra sognata, la felicità e la speranza di un futuro dignitoso si stempera con la brutta considerazione degli italiani raccolta all’estero: “ladri”, “violenti”, “un peso”. A Bayard Street, nel cuore di Little Italy a New York, in un isolato che contava 132 stanze vivevano 1.324 italiani.
E come oggi in Italia gli immigrati trovano lavoro come contadini, operai, camerieri e badanti, così in passato gli italiani in America svolgevano i lavori più pesanti e degradanti come operai nella costruzione di ferrovie, nelle miniere, arrotini, vu cumprà…
Anche in questa storia la miseria, la disperazione, lo spirito d’avventura porta i protagonisti a partire. C’è chi parte perché spinto e incoraggiato dai saggi del villaggio natio, chi perché non ha più niente da perdere, chi vuole partire per una delusione amorosa, chi viaggia perché è di tutti i posti. Le radici e le identità sono importanti. Al termine del viaggio, ciascuno si impadronirà della sua essenza, verso l’alba del proprio destino.
“L’alba” è la terza parte della trilogia teatrale “Orienti”, epopea generazionale lunga sessant’anni. Questa piéce è nata come oggetto di studio in uno stage, condotto dall’autore e portato al debutto a Roma il 28 ottobre 2003. L’autore è Duccio Camerini, scrittore, regista, attore, sceneggiatore e fondatore della compagnia “La casa dei racconti”. L’attenzione della drammaturgia di Camerini è incentrata sulla parola, e sull’immagine che la parola dell’attore evoca, visualizzata dallo spettatore/uditore nel suo divenire.
INGRESSO: 6 euro